Il rumore dei social? Una sfida che ci riguarda tutti

L’articolo di Wine-Searcher con l’intervista a Roberto Conterno, dal titolo Conterno Cuts Through the Social Noise (questo il link), diffuso anche nella rubrica Aislights di AIS (Associazione Italiana Sommelier), mi ha colpito molto.

Pur riconoscendo il ruolo dei social, mi ritrovo pienamente nelle parole di Conterno: egli offre spunti cruciali, in un momento di trasformazioni digitali.
L’ho condiviso con alcuni colleghi e ho pensato di approfondire alcuni passaggi significativi per stimolare una riflessione con la mia rete.

 La velocità dell’informazione e la perdita di profondità.

:: Il “tutto e subito” è il nemico della profondità e le comunicazioni diventano frettolose, elementari, rischiano di sacrificare l’analisi ponderata e la comprensione del contesto.

:: Il confronto si perde e si rimescola con un risultato che deve essere immediato, evidenziando il rischio di non capire le evoluzioni e le differenze che abbiamo nel contesto in cui operiamo.

:: Ieri è già passato e non c’è più, scombussolato e dimenticato da una tendenza rapida dell’informazione immediata.

Questa “fretta contagiosa”, come sottolinea Conterno, la ritroviamo anche nella fruizione dei contenuti didattici e nella comunicazione di concetti complessi nel nostro settore. La pressione per l’ultima “notizia” o per il contenuto più “virale” rischia di farci perdere di vista l’importanza di un’analisi ponderata, di uno studio approfondito, di una comprensione contestuale.

Un recente episodio mi ha offerto un’ulteriore conferma delle riflessioni di Conterno sulla necessità di una strategia chiara e sull’importanza di non disperdere il proprio messaggio. Un’azienda vitivinicola, nonostante un investimento per la gestione dei social (fornito da professionisti che avevano fatto una revisione del sito web – ? dovrei commentare?) ha visto inspiegabilmente calare le interazioni dei propri post. L’esigenza iniziale, comprensibile, era di non dover più occuparsi direttamente dei social, delegando esternamente. Tuttavia, l’imprenditore, notando i risultati insoddisfacenti, si è confidato con me, chiedendomi un parere. Incuriosita, ho analizzato i loro contenuti (dal punto di vista della comunicazione) e ho osservato un’evoluzione inaspettata: materiali che inizialmente erano autentici e “veri”, seppur con una vena “casalinga”, si erano progressivamente trasformati in tutorial didattici sul vino. Perché? Ma soprattutto.. per chi? Ho chiesto se fosse stato condiviso un piano editoriale (questo sconosciuto) o quantomeno target e valori aziendali, obiettivi… buio pesto.

Come professionisti della comunicazione dobbiamo resistere alla standardizzazione e alla superficialità, valorizzando un approccio più ponderato e autentico. Forse, come suggerisce l’esperienza di questa azienda, è preferibile dedicare più tempo alla definizione di una strategia comunicativa realmente in linea con i propri valori e il proprio pubblico, anche a costo di una minore frequenza di pubblicazione, piuttosto che affidarsi a format impersonali che rischiano di allontanare l’interesse.

I giovani

Chi sono i giovani? E soprattutto… chi sono i senior?

Trovo che sia miope concentrarsi esclusivamente sulle nuove generazioni nella comunicazione del vino: si rischia di escludere una parte significativa del nostro pubblico. La mia! Quest’anno compirò cinquant’anni… non sono più una ventenne, ne sono consapevole, a quale target appartengo? sono senior?

Dobbiamo riflettere sulla demografia attuale e l’importanza di creare un target nuovo, che non sia strettamente legato alle fasce d’età, ma più che altro all’esperienza (o di vita) e di interesse all’argomento. È cruciale.

L’altra faccia della medaglia, però, rivela una contraddizione interessante: i “giovani non bevono vino”? Affermazione che, nella mia esperienza, vacilla. Ammetto di aver iniziato a esplorare seriamente il mondo del vino dopo i trent’anni, pur lavorandoci da un decennio. Ma ciò che mi incuriosisce è osservare come il pubblico che frequenta corsi, eventi, masterclass, fiere e serate a tema sia spesso composto prevalentemente da giovani. Credo che l’interesse e la curiosità verso il vino siano una specifica apertura mentale e un desiderio di apprendimento, di provare nuove esperienze.

Anche in questo caso, riporto una mia esperienza diretta, quando, qualche settimana fa, ho assistito a una lezione di primo livello dell’AIS (Associazione Italiana Sommelier), di cui faccio parte da anni. Il tema, fondamentale, il gusto-olfattivo, e l’aula un “tutto esaurito”: quasi ottanta persone, e la stragrande maggioranza erano giovani (probabilmente io ho alzato la media). Penso che sia necessario superare le semplificazioni e di adottare una visione più “sfumata” del target, inteso semplicemente come età anagrafica, riconoscendo che la passione per il vino può nascere a qualsiasi età, ma soprattutto in diverse fasi della vita, e che l’interesse per l’apprendimento non ha confini generazionali.

La credibilità e la confusione generata dai social media.

Siamo tutti esperti! La viralità della democratizzazione dell’opinione e la perdita di competenza sono le conseguenze dell’apertura dei social a chiunque voglia esprimersi, portando a una proliferazione di “esperti” auto-proclamati, creando confusione sulle reali competenze ed esperienze.

La “bestia famelica” (cit.) è un’entità che fagocita contenuti e ne richiede altrettanti, con un flusso costante, a volte a scapito della qualità. Comunicare, comunicare, comunicare, ma cosa? La sostenibilità aziendale con la foto con la coccinella sulla foglia? Oppure post inutili sulla qualità del vino accompagnati da foto da banca dati?

E per ultimo, il “bancone del bar” digitale (cit.): questa analogia mi ha fatto pensare molto. La democratizzazione dell’informazione portata dai social media ha indubbiamente dei vantaggi, ma ha anche creato un terreno fertile per la proliferazione di opinioni non sempre fondate, non sempre contestualizzate, non sempre ponderate.

Strategie per il futuro nel mondo del vino (e non solo).

Oltre la qualità… oggi tutti i vini sono buoni. In senso relativo, ovviamente. Il buon prodotto .. e poi? Produrre il buon prodotto non è più sufficiente, l’identità deve essere chiara e legato ai propri valori distintivi e non a quelli di moda o, come si dice, trend del momento.

Il prodotto super premiato, recensito, valutato… solo se questi premi, recensioni, valutazioni vengono veicolati, comunicati e condivisi in modo sistematico e professionale.

Un esempio che ho vissuto in prima persona come responsabile della comunicazione: pubblicarle su tutti i canali social ma non farlo con la propria rete di agenti o venditori, che ne vengono a conoscenza solo per vie traverse (i social appunto) e non direttamente dall’azienda, che dovrebbe fornirli con dettagli e driver di comunicazione utili alla vendita.

L’erba del vicino è sempre più verde?

No, non vale più. L’unicità di ogni azienda è un valore cruciale e dimostrabile. Come? Comunicandolo. Focalizzandosi sui propri elementi distintivi e non solo su quelli della denominazione o della zona di produzione o delle aziende vicine che hanno successo sui social. Quali sono gli elementi che mi distinguono e come posso comunicarli efficacemente? Dove e come posso comunicarli? Solo sui social o con altri strumenti?

Tante volte mi sono sentita dire da imprenditori “voglio fare come fanno gli altri”… gli altri chi? Chi sono? Hanno lo stesso target? Gli stessi valori? Producono lo stesso vino? Uguale al tuo? Il benchmark è sicuramente uno strumento di analisi importante: è necessario però che “gli altri” siano delle best practice e non dei modelli da duplicare, imitandoli (spesso male).

Al di là dell’articolo e dell’opinione di Conterno, insisto con forza che deve emergere una visione strategica chiara, fatta di tempo, di pazienza, di analisi, di un approccio professionale aperto, esperto e attento.

 Il tutto senza dimenticare mai la COERENZA.

:: Lavorare per imparare. Imparare per condividere. Condividere per lavorare.